Prima della folle corsa

Ho avuto occasione recentemente di reincontrare un vecchio amico e collega, Enzo Tenore, e con l'occasione tornare sui ricordi delle nostre frequentazioni universitarie della fine degli anni novanta e, nella fattispecie, alla mostra fotografica Memorie di pietra sul centro abbandonato di Aquilonia, denominata in passato anche Carbonara. Riporto il testo intitolato Prima della folle corsa scritto all'epoca della mostra (1998), molto prima dell'avvento della Paesologia arminiana o della Restanza tetiana, in cui si possono intravedere in nuce le tematiche che gli autori citati hanno così ben trattato, insieme ad altri autori importanti. Si tratta di un testo breve ma significativo.

PRIMA DELLA FOLLE CORSA

Ci affascina l’idea di riaccendere l’interesse attorno ai luoghi dimenticati, frettolosamente nascosti, che hanno la capacità di evocare quello che è per noi un passato, in gran parte sconosciuto, di comunicarci le sensazioni che quell’atmosfera, quel silenzio, quegli odori, suscitavano nell’animo dei nostri nonni.

La semplice leggerezza di un ritmo più sostenibile cadenzava le loro vite, il contatto non mediato con la natura le accompagnava nel tempo.

Tutto questo, considerato ormai imbarazzante, antico, non più adeguato a moderne ambizioni è stato, nel giro di un folle ventennio, con cura spazzato via. I luoghi che ospitavano questa vita sono abbandonati, messi da parte come retaggio non degno, ingombrante, costoso, perché troppo lontani dalla frenetica velocità e patinata bellezza di un modo di vita esteriormente moderno, inculcato dall’esterno ad una società non ancora pronta né consapevole quanto curiosa per la pubblicizzata novità. Ci si è affrettati a cambiare vita, a cancellare le tracce della nostra storia, a sostituire le pietre col cemento, in nome di un sogno di progresso rivelatosi virtuale, ripetutamente proclamato e sfociato invece in un modello di vita bastardo, figlio innaturale di una tradizione lenta e superstiziosa, non ancora sopita, e di una modernizzazione cieca e superficiale.

Alessandro D’Aloia





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